Whitaker

Non mi piace l’open-space, ma ne abbiamo alcuni in azienda. Io ho un ufficio blindato e tutto mio, nell’ultima stanza dell’ultimo corridoio, all’ultimo piano. Ci devi venire apposta, insomma, fosse anche soltanto per sbirciare. Per questo, i più mi dicono classista, antipatico, snob. Io semplicemente la chiamo “privacy”, ma perché dire in pubblico “non mi piace che ci si intrometta nei cazzi miei”, potrebbe sembrare brutto. Dimenticavo: pure stronzo mi dicono, ma su questo hanno ragione, probabilmente. Comunque, nel mio posto nascosto, sono stato costretto a ricevere due collaboratori, due colonne della E. Appena entrati realizzo che avrei dovuto attrezzarmi con gong e ring, invece di caffè e dolcetti e temo pure di beccarmi uno schiaffo se mi intrometto.

Luca pretende che Alfonso sia licenziato, Alfonso vuole che Luca sia spostato altrove, in modo da non averci più a che fare e vederlo, finanche. Nemmeno capisco l’accaduto e chi abbia cominciato, so solo che devo farli smettere, senza avere una soluzione, però. Non dico che prima dividessero lo sgabello al bar, ma avevano un rapporto solare, cordiale e di reciproco rispetto.

Si sa, più sono insignificanti le motivazioni e più diventa ingombrante la questione di principio e quasi impossibile fare poi un passo indietro. Io, per mio innegabile interesse lavorativo, non posso e voglio scontentare uno dei due, dando ragione a chi effettivamente ce l’abbia e devo districarmi sul filo. Vogliono e pretendono che li separi. Per sempre.

E su queste loro frasi scatta il lampo di genio: «Signori, dobbiamo convivere. Pure con le mogli si litiga e non è che alla prima baruffa si divorzia» sbotto tra il disperato, il rassegnato e l’incazzato.

Manco avessi pronunciato un sortilegio (sarà stata la parola “moglie”), i due fanno la pace e si stringono la mano, dandomi ragione all’unisono.

Ancora mi chiedo cosa abbia detto di così fondamentale: le mie parole erano spinte più da un bisogno esasperato che non da un pensiero filosofico o una soluzione pratica.

E niente, sono questi i momenti in cui mi compiaccio: risolvi la guerra tra Stati Uniti e Corea, quando volevi solo pranzare in orario.

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Whitaker

Ho attraversato di corsa la preadolescenza e ancor di più l’adolescenza, convinto di riuscire a domare e dominare gli anni, determinato a voler diventare – ancor prima di essere – adulto, non comprendendone appieno il significato, forse.

Dopo la morte di mamma non ho fatto altro che correre, senza sosta, senza guardare mai indietro e nemmeno di fianco. Senza vedere, niente e nessuno. Solo un lungo e veloce viaggio in avanti, ma in apnea e spericolato.

Oltre che nella vita, anche nello sport correvo: spesso, distrattamente, dietro un pallone e, sempre, ma con impegno e fatica, sulla pista di atletica. Correvo veloce, ma mai abbastanza da allontanarmi tanto dagli undici secondi. Così, li vedevo, sempre, troppi secondi persi che avrei potuto e dovuto destinare ad altro. E un giorno bruciai tutto: completini, scarpe, borse. In un unico fumo, scuro e puzzolente, finirono tessuti e sogni, intrisi di sudore e lacrime.

Non volevo che gli adulti mi trattassero come un bambino, orfano per giunta, o pensassero fossi debole e bisognoso di affetto, mi ripetevo nella testa. In realtà, correvo dal passato e dal presente, concentrato ad allontanarmi quanto prima da quel funerale e quelle pene e quelle scene strane che si susseguivano.

Poi, però, di notte, mi nascondevo sotto le lenzuola, sopraffatto dall’insistenza del tempo, dal peso degli ordini che mi impartivo, dalla paura di non farcela a fare da padre a me e a mio padre che, come un’ameba, sostava nello spazio e fra le cose.

Tutto questo l’ho capito da adulto, ma non saprei spiegarglielo al me ragazzino, se dovessi incontrarlo.

#WhitakerAcademy

Le interviste di Lego et cogito

Ho il piacere di comunicarvi che sono stato intervistato da Marianna Visconti, per il blog “Lego et Cogito”.

Abbiamo parlato un bel po’ della raccolta di racconti “Con la porta aperta” e anche un po’ di me, dei miei autori preferiti e del perché scrivo.

Ringrazio tantissimo Marianna per la cordialità, la professionalità, la precisione con cui ha eseguito il tutto e Giovanna Di Benedetto per la foto.

Dopo aver letto l’intervista, fatemi sapere che ve ne pare! Leggi l’intervista

Cari lettori e Care lettrici, 

Benvenuti/e al consueto appuntamento con Le interviste di Lego et Cogito. L’ospite della settimana è Michele Palmieri, autore di Con la porta aperta – 12 storie. Le storie descritte in quest’opera fanno parte di un quotidiano comune, in cui ognuno/a di noi riscontrarle sulla propria pelle; inoltre, i racconti si differenziano, volutamente, non solo per la trama ma anche nella narrazione, nella lunghezza, nel lessico utilizzato. Nel corso dell’intervista, l’autore ci parla approfittamente di tale opera, per cui, con sommo piacere, vi lascio nelle sue mani. Buona lettura. 

Ciao Michele, presentati alla nostra community e parlaci un po’ di te. 

Ciao e grazie a tutti: sono un sales manager e mi reputo fortunato a poter fare il lavoro che mi piace. Mi gratifica guidare e formare un team, dando un contributo alla crescita dell’azienda.

Il mio sogno nel cassetto resta produrre vino e distillare brandy, ma nell’attesa scrivo, principalmente racconti. Proprio da uno di questi è nato Whitaker, di cui scrivo su www.palmierimichele.it e su https://www.facebook.com/albertedwardwhitaker, che si sta creando un suo piccolo seguito, decisamente più di me! 😉 

Quando è nato in te l’amore per la scrittura? 

Diciamo che c’è da sempre, a partire dalle “conclusioni” nei boy-scout e dai temi delle medie, ma da circa quindici anni, dopo tanto allenamento nella lettura, mi sono dedicato alla scrittura. Quattro anni fa, poi, dopo un corso e un workshop di scrittura creativa, ho cercato di disegnare un percorso a quanto usciva dalla penna.

Qual è il tuo libro preferito? 

Questa è una domanda che mi mette sempre in difficoltà: mentre penso a un titolo, ne spunta un altro a correggerlo, ma per citarne uno, non come preferito, quanto come opera che mi ha colpito molto, penso a Giuda, di Amos Oz.

Qual è l’autore o l’autrice a cui ti ispiri particolarmente? 

Sono diversi e ultimamente ho imparato a spaziare molto di più tra autori e generi, ma i principali sono Faletti per le emozioni, Bukowski per l’ironia, Palahniuk per la crudezza.

Parlaci del tuo libro: Con la porta aperta. Di che tratta e quali tematiche affronta? 

Sono dodici racconti, molti diversi tra loro: alcuni temi sono leggeri, tipo “abbordare” una ragazza, altri più impegnativi, contro la violenza sulle donne, per esempio.

C’è lo spazio per riflettere, per farsi una risata, per incazzarsi o indignarsi, senza giudicare, ma solo portandosi a casa delle esperienze.

Parlano delle relazioni, tra amici, parenti, amanti, conoscenti. La relazione predominante, però, è quella che ha il protagonista con sé stesso, il suo profondo legame con le cose, i luoghi, i modi di affrontare la vita. 

In ognuno dei racconti c’è o si vuole lasciare una traccia, ma si cerca di farlo con il contributo del lettore, con le sue esperienze e coinvolgimenti…da qui il titolo “Con la porta aperta”.

Qual è il fil rouge che lega assieme i vari racconti? 

Le emozioni e, soprattutto, quello che scatenano dopo, dentro. Spesso ci vediamo costretti – soprattutto da noi stessi – a indossare la maschera delle emozioni, obbligati a esprimerle, ma lasciandole trasparire solo in un certo modo e tipo. Queste storie, invece, vogliono costruire una stanza, intima e segreta, in cui il lettore possa dare sfogo, senza filtri, a quello che si forma veramente e senza la necessità di doverlo dire.

Che messaggio intendi trasmettere con quest’opera? 

Quello che mi sono voluto ripetere, con questi racconti, è che di realtà ne esistono di diverse e non sono mai preconfezionate. Noi non cambiamo, ci evolviamo, pescando sempre nelle nostre esperienze, nei ricordi, nel vissuto, nel percepito, soprattutto. Se spostassi Arturo di Vendo capuanelle in I Baldi, e viceversa Andrea, verrebbero fuori storie completamente diverse, così ne verrebbero fuori altrettante, se fossi io a calarmi nei panni dei personaggi. Questa precarietà e questa mutevolezza della realtà sono il vero messaggio.

Chi è il lettore o la lettrice ideale del tuo libro? 

Il vantaggio di una raccolta, rispetto a un romanzo, è proprio quella di presentare molti più protagonisti. Ce n’è uno per ogni gusto, insomma. Inoltre, come dicevo, anche i racconti non trattano un tema unico. Ne consegue, quindi, che il lettore rientra in una fascia decisamente ampia. Se proprio dovessi segmentare, direi dai 20 ai 65 anni.

Se ti va, ci lasci una citazione particolarmente significativa del libro? 

Certo e, visto che mi piace strafare, ne evidenzio due.

La prima, dal racconto I Baldi:

Quando al parco vedo qualcuna carina, con o senza cane al seguito, tra me e il rottweiler scatta una muta complicità, dove lui intrattiene la bestiola di turno, generalmente minuscola rispetto a lui e io la sua padrona oppure, per quelle senza animali, comincia a guaire malinconico, abbassa la testa, assume un’espressione languida e addolorata, manco gli avessero investito il gatto. Nessuna gli resiste, devono coccolarlo. E, tornati a casa, lo premio con una porzione extra di Dentastix.

La seconda, dal racconto Quante vite, Ari:

Tante volte ho pregato che tirasse fuori la sua pistola e …bang! Tutto finito nel buio e in un rumore che non so se avrei sentito. 

Ogni singola, maledetta, stracazzo di volta ho pregato. Forse era una piccola follia, ma era l’unica strada che vedevo per uscire dall’inferno. Però, non l’ha mai tirata fuori dalla fondina in cuoio, scurito dal tempo, e non ha mai sparato e non mi ha mai ammazzato. La minaccia, invece, è sempre stata presente e con una forza molto maggiore di quel proiettile che, talvolta, mi sembrava di intravedere dalla canna e che, anche da lì, provocava dolore, molto dolore.

Marianna Visconti 

Whitaker

Eravamo diventati talmente prevedibili che, ogni cosa facessimo, viaggiava più veloce tra i nostri concorrenti che al nostro interno. E, sospettavo pure che qualcuno facesse il doppiogioco, talmente combaciasse ogni minimo dettaglio.

Zio Milvio si comportava troppo bene con chiunque e tanti ne approfittavano. Non che non lo rispettassero, ma a volte lo trattavano con sufficienza.

Tutti erano convinti che nulla sarebbe cambiato, quando ho cominciato a sostituirlo. Per un po’ è stato così, infatti. Ma prendevo le misure, imparavo, chiedevo, compravo persone e cose. E, quelli, non l’avevano capito.

Quindi, cominciarono i cambi di rotta repentini e drastici che spaesarono i più. Dentro e fuori l’azienda.

Uno, addirittura, scommise la sua Maserati sulla mia prossima mossa, convinto di saperla lunga. Più lunga di me. Vabbe’ che era una Ghibli, ma dovette comunque lasciargli le chiavi, a uno dei nostri storici partner. Quando Paolo mi raccontò della scommessa e della posta in gioco, non riuscii a fermarlo nello stomaco il ghigno di soddisfazione, cattiveria, rabbia. Ma non verso l’avversario. O non solo, almeno.

Mi sono dovuto avvalere di complici, brigare contro il sistema, beffarlo con le sue stesse difese.

Pensare fuori dagli schemi, agire fuori dalle regole.

Ho imparato una grande lezione: la forza del mai. Mai pensare “abbiamo sempre fatto così”, mai mancare di rispetto all’avversario, mai decidere senza aver valutato tutte le mosse, mai pensare di non poter cambiare le cose, mai scommettere se non si è sicuri di vincere.

#WhitakerAcademy