Whitaker

Un sì, al posto di un no e la mia carriera, la mia vita, sarebbero potute cambiare radicalmente. Avrei percorso strade diverse da quelle poi imboccate e a volte addirittura tracciate. Durante una corsa in auto.

Un amico mi chiese di accompagnarlo, una domenica mattina. Per una commissione rapida, aggiunse. Poi avremmo pranzato con un’isola davanti e il mare in mezzo, aggiunse ancora. Ovviamente accettai, non so se per le aspettative paesaggistiche e gastronomiche o solo per fargli compagnia. Sapevo che avremmo corso, non immaginavo che avremmo consumato gli ottocento chilometri, tra andata e ritorno, quasi sempre oltre i centoottanta all’ora e punte di duecentotrenta.

Mi piacque molto quel viaggio, sentivo tutti i cavalli del motore – scalpitanti e rabbiosi – percorrermi la schiena, il sedile sportivo in pelle mi teneva saldo, stretto, come l’infermiere tiene un matto da dietro. L’andata passò senza segni, una corsa folle in cui preferimmo gustarci l’adrenalina scatenata dalla velocità, anche stando solo di fianco, usando parole con poco significato dentro. Parlammo, sì, ma di serate fuori e incroci con le persone, donne e macchine, manco fossero intercambiabili. Al ritorno pilotò abile e sicuro, oltre che la coupé, nera e lucente, anche il discorso, che durò quanto la strada, imperniato un su una proposta di impresa. Un po’ per la sorpresa, un po’ perché avevo imbastito altri progetti, di più, forse, perché proporre e dire mi piaceva più di quanto mi venisse proposto e detto, rifiutai senza riflettere e senza ripensamenti, con la stessa velocità alla quale viaggiavamo. Ci vedemmo poche altre volte e, quando ci incontriamo, ci salutiamo solo da lontano.

È diventato un pezzo grosso, ricco, accerchiato da accoliti sognanti, non so se per leadership o interesse.

Ultimamente, per qualche giorno ho pensato a come sarebbe andato il mio sliding door.

“Va bene così, mi sono ripetuto, fino a convincermi”.

Però mancano quelle corse in auto e quelle chiacchiere intrise di leggerezza.

#WhitakerAcademy

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