Whitaker n.71

Ci invitano a teatro. Andiamo in quattro, senza sapere nemmeno il titolo, figuriamoci trama, attori, compagnia. Di solito, declinerei, ma la causa è nobile: l’intero incasso sarà devoluto in beneficenza, per cui, senza porre domande, entro nello smoking ed esco fiero di casa. Assistere alla rappresentazione di una compagnia amatoriale mi mette curiosità e gioia. In teatro, nel ritardo in cui siamo confinati, sento nel parlottio, che l’opera è una tragedia e gli attori hanno provato per mesi. Non resta che gustarmi lo spettacolo, quindi, fa niente che mi stiano rubando sonno.

Alle prime scene mi scappa da ridere, ma dovrei essere travolto da suspense e pathos. Qualcosa non va e cerco di controllarmi, senza girarmi di fianco.

Mi piace molto il teatro, mi appassionano i tempi, l’aria pulita che si respira, i messaggi profondi che arano terreni generosi. E rispetto molto il lavoro, il lavoro di tutti, però è importante che l’aspetto amatoriale non vada a confondersi con il dilettantismo. Qui ci troviamo di fronte a ruoli raffazzonati, trama scadente e prevedibile, interpretazioni di bambini al saggio dell’oratorio. Tra il primo e secondo atto scopro che non c’è stato studio, impegno, sudore, solo tempo, a questo punto, perso.

Finalmente, arriva il finale. Una specie di babbo natale fuori servizio e fuori taglia sta per ammazzare la bella dell’opera. Si gira verso il pubblico, mi guarda negli occhi e con una pistola dei fumetti spara due volte, muovendo la mano come agitasse un frustino che non avrebbe centrato l’obiettivo nemmeno se il cuore si fosse suicidato, andando incontro ai proiettili. Io scoppio in una risata che a stento reprimo nelle mani portate alla faccia, dopo non essere riuscito a trattenerla nelle viscere. Da fuori potrebbero sembrare singhiozzi sconvolti per la fine cruenta e triste. Ma io ci tengo a puntualizzare la motivazione vera: l’evento è stato solo farsa e qualunquismo, senza arte, passione, bravura. L’unica speranza è che il ricavato possa servire a qualcosa di buono. Esco stranito e senza applaudire, con un senso di incompiuto.

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